Ischia News ed Eventi - Le danze popolari della cultura ischitana

Le danze popolari della cultura ischitana

Ndrezzata, il ballo tipico ischitano

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“A mascarata”, “Ndrizzata” “A vattute e ll’astreche” costituivano le principali danze popolari legati a momenti della vita della comunità ischitana oggi divenuta danza folkloristica grazie alla nascita di gruppi specializzati.

Le origini delle danza “A mascherata” sono tutt’oggi poco chiare: secondo alcune fonti ha origini greche, secondo altre spagnole in quanto in una località spagnola questa danza si ballava il giorno di Pasquetta o in occasione della festa di San Giovanni, stesso Santo patrono di Buonopane.

Tuttavia, ci sono diverse ipotesi riguardanti la genesi del ballo. Secondo una di queste, che rappresenta un connubio tra mito e leggenda, la danza affonda le proprie radici in una faida tra gli abitanti di Buonopane e Barano risalente al 1500. Tutto ciò è documentato da un manoscritto rinvenuto nella sacrestia della chiesa di San Giovanni Battista a Buonopane, in cui si racconta della venuta del Vescovo per placare una lite tra gli abitanti di Buonopane e quelli di Barano causata dalla contesa di una ragazza tra due abitanti appartenenti ai rispettivi paesi. tensioni fra i due causarono uno scontro sanguinoso. Per sanare questa “faida” intervenne il Vescovo e da allora (1540) il lunedì in Albis a Buonopane si balla questa danza.
Altre fonti, sicuramente più attendibili, definiscono il ballo "Ndirizzata” e risalgono al primo dopoguerra. In questo periodo un numero considerevole di buonopanesi, complice lo stato di povertà, fu spinto ad emigrare negli Stati Uniti. Qui, a New York, un gruppo di oltre 160 persone iniziò a ballare la danza che, a sua volta, fu repressa dalle autorità statunitensi perché interpretata come un addestramento di un gruppo sovversivo filo-comunista. Da ciò ne risultò l’immediata espulsione dei ballerini dal paese. Una volta rimpatriati, i ballerini ripresero la tradizione definendo la danza “Mascarata” per la mancanza di un costume "ufficiale" in quanto non vi erano i mezzi economici adeguati per poterli realizzare. E’ però importante ricordare gli abiti e la struttura del ballo del tempo, perchè saranno poi questi ultimi ad essere ripresi nella rappresentazione odierna della danza. Il ballo veniva eseguito a piedi nudi o con sandali e presentava una struttura che si differenziava totalmente dalla odierna”’Ndrezzata”.
Solo negli anni ’30 fu realizzato il primo costume: costituito principalmente da tessuti modesti (canapone, seta grezza e lana) attingeva agli abiti dei pescatori del '600.
Nel 1941 il gruppo di allora si recò alla Reggia di Caserta e la loro esibizione fu riportata in libro  di Maria Bianca Galante, pubblicato nel 1943 dall’Università di Roma. In questo testo furono descritti, nei minimi particolari, la danza e la disposizione dei ballerini, il nome degli stessi, il costume e i relativi colori e l’esecuzione della danza.
Durante gli anni '50 la danza fu modificata radicalmente e diventò un connubio tra i diversi balli in pratica sull'isola assumendo il nome di “’Ndrezzata” (che tutt’oggi è eseguita dal “Gruppo Folk ‘Ndrezzata”). Fu creata una danza che, praticamente, era figlia della “Trallera” del paesino collinare di Fontana per la presenza della serenata, della “’Ndrizzata” di Campagnano per la presenza della predica, della “Intrecciata” di Forio per i costumi di pescatore e della “Mascarata” di Buonopane per il ballo. Anche il costume cambiò radicalmente assumendo i colori del tricolore italiano. Inoltre fu costituito da tessuti distanti dalla cultura popolare come il velluto (verde e rosso) e il cuoio di cortigiano (per la realizzazione delle scarpe): ci si ritrovò quindi dinanzi ad una classico esempio di "invenzione" della cultura popolare. Le donne, che fino a quel momento assumevano un ruolo importante all’interno della danza, furono rigorosamente escluse.
Solo dal 1983, grazie alla nascita della “Piccola ‘Ndrezzata” è stato possibile ballare la danza nuovamente tra coppie miste. Con la nascita della “Scuola del Folklore”, nel 1997, si è voluto dare continuità a questo progetto, riprendendo, inoltre, l’autentica cultura popolare del passato realizzando la danza con gli stessi costumi e la stessa struttura che la caratterizzavano nella prima metà del '900.

Altra danza caratteristica dell’isola d’Ischia è ‘A Vattute e ll’Astreche. Nell’isola d’Ischia, come in gran parte del bacino mediterraneo, si usava costruire fino agli anni ’50 i tetti delle case a botte o a forma di piccole cupole emisferiche, dette a carusiello, attinte dalla cultura architettonica greco – araba.
La costruzione avveniva secondo canoni ben definiti; la sagoma veniva preparata con intelaiatura di pali di castagno su cui venivano poggiati i “penicilli”( fasci di viti secche), la si ricopriva di manto di creta (argilla o altro materiale lavico) su cui venivano appoggiate le pietre pomice (anch’esse pietre vulcaniche leggere ma forti e compatte). Terminata questa fase, il proprietario della casa issava di buon ora una bandiera, era il segnale con cui si chiamavano a raccolta parenti, amici, vicini, compagni, …insomma quasi tutto il paese era coinvolto e felice di dare il proprio contributo alla realizzazione finale della nuova casa. Tutti quelli che partecipavano portavano con loro un puntone, palo di pioppo con una parte più larga, tale attrezzo serviva per comprimere il lapillo bagnato da calce bianca viva, fino a renderlo impermeabile. Tale immane fatica durava per tre giorni, giorno e notte ininterrottamente.
I puntunari per alleviare queste immani fatiche cantavano, raccontavano aneddoti, filastrocche ed era ben accolto chi sapeva suonare qualche strumento.
Le sequenze del ballo sono queste: si inizia con un canto propiziatorio: Jesc sole; si passa al canto Saluta allu padrone, per giungere al pettegolezzo principe del nostro paese Nu sacce che succise a Murupane. Il capo mastro, per non far perdere il ritmo ripete di tanto in tanto: una, due e tre;se qualcuno perdeva il ritmo, visto che tutti avevano gli stessi nomi, il capo mastro li chiamava per soprannome e questi si accodavano al ritmo degli altri; se il bere e il magiare tardavano ad arrivare si era soliti ricordare la sciaguratezza con un canto:  Tutti li miezziurn son sunat. Poi qualche filastrocca per fare un nuovo brindisi, citando le verdure e gli ortaggi. A seguire l’inno dei puntunari Sartulella per finire con la Tarantella lu Ceras. Una volta completato il tetto si usava buttare del grano di tanto in tanto per evitare la comparsa di piccole fessure.
Nel frattempo, le donne, anch’esse accorse numerose, si dilettavano in cucina a preparare piatti prelibati ed amati da tutti. I puntunari dopo tre giorni erano felici, perché finalmente avrebbero mangiato bene ed abbondante, tutti accorrevano per questa mangiata finale. I piatti, tanto richiesti e desiderati, erano il coniglio da fosso cotto alla cacciatore e le zeppole.
Finita la grande abbuffata si iniziava a ballare (tammurriate e tarantelle) e cantare per un’intera giornata con una sfilata di ceste o barchette piene di zeppole. Il popolo era felice perché un altro concittadino era riuscito a costruirsi un tetto e quindi il nido dove far prosperare la propria famiglia.

Leggi ed ascolta il testo della ‘Ndrezzata

Le informazioni sono state fornite dall’Associazione Scuola del Folklore www.scuoladelfolklore.com

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