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Criticare l’azienda dove si lavora può portare al licenziamento

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In presenza di denigrazione nei confronti della società datrice di lavoro è conseguente la rottura del vincolo fiduciario.
Va bene il diritto di critica e la libertà di espressione riconosciuta dalla Costituzione, ma tutto deve avere un limite. Specie se, dall’altra parte, c’è chi ti dà da mangiare. Così il dipendente che denigra la società dove lavora può essere validamente licenziato. Lo ha detto la Cassazione in una sentenza di poche ore fa [1].

Le critiche non possono essere eccessive

È possibile criticare l’azienda dove si lavora, ma senza arrivare a danneggiarne l’immagine attraverso ripetute offese anche nei confronti dell’amministratore.

È evidente, in questi casi, l’accesa conflittualità col datore di lavoro tale da far giustamente ritenere che il vincolo “fiduciario” sul quale deve poggiare il contratto di lavoro si è definitivamente interrotto e, quindi, non c’è più ragione di mantenere il dipendente “a stipendio”.

Insomma, venuta meno la reciproca stima, può cessare anche il contratto di lavoro. E questo perché, se la conflittualità giunge a un punto tale che ogni situazione problematica viene utilizzata, dal dipendente, come scusa e occasione per denigrare l’immagine aziendale, allora il licenziamento è legittimo.

Secondo i giudici, in sostanza, casi come questi giustificano il licenziamento per giusta causa, essendosi verificate, da parte del dipendente, “mancanze” che non consentono la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.

Decisiva è la valutazione della condotta del dipendente, se abbia o meno comportato una denigrazione dell’immagine aziendale: tale comportamento, si legge in sentenza, racchiude in sé una gravità tale da giustificare il venire meno della fiducia della società nella correttezza del futuro adempimento da parte del proprio dipendente.

La nuova disciplina del contratto a tutele crescenti

Oggi, con la recente approvazione della riforma del lavoro, in ipotesi del genere la reintegra del dipendente verrebbe ammessa solo qualora il giudice dovesse verificare che il fatto contestato al dipendente è inesistente. In tutti gli altri casi, in presenza di una sentenza che dovesse valutare come illegittimo il licenziamento, al lavoratore spetterebbe unicamente il risarcimento del danno.

 [1] Cass. sent. n. 3853/15 del 25.02.2015.