Ischia News ed Eventi - Vendemmia A ‘Iesca’

Vendemmia A ‘Iesca’

Cucina e Tradizione
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Partendo dalla Parrocchia del Carmine a Serrara, scendendo lungo una stradina ripida e tortuosa, presidiata da due file ininterrotte di case costruite, come è d’uso dalle parti nostre, proprio sul ciglio della strada, quasi a guadagnare quei pochi palmi di terra e piegando sulla sinistra ti trovi all’improvviso su un pianoro esposto come un altare con ai due lati, sottoposti di qualche metro - proprio come dei chierichetti in ginocchio- due piccoli appezzamenti di terreno lavorati con la perizia dei vignaiuoli di un tempo. Il luogo si chiama ‘Iesca’ e la vigna fa parte del grande agglomerato di terreni della società Terra Mia produttrice dei vini Pietratorcia. Ha la migliore esposizione possibile, levante-mezzogiorno-ponente, è posta, nella parte pedemontana dell’isola ad un’altezza di circa 500 metri sul livello del mare, ha vitigni giovanili di biancolella e forastera carichi di uva, è circondata dall’Epomeo e dalle sue propaggini che sembrano quasi abbracciarla per proteggerla dai venti del quadrante del nord e, anche se non c’entra per la buona qualità delle uve, gode di un panorama a180° essendo impedite alla vista Forio, Lacco Ameno e Casamicciola ma potendo spaziare con i nostri occhi dal monte Vezzi a Punta Imperatore. Rendez-vous alle ore nove, grazie a Dio non la solita levataccia, sul Belvedere di Serrara, caffè d’apertura e subito giù al lavoro.

Eravamo una quindicina di volenterosi (di questi tempi si potrebbe anche dire di ‘responsabili’), armati di forbici da pota, cestoni di plastica, buona volontà e tanta inesperienza. Franco, europarlamentare e da qualche tempo imprenditore, è dovuto intervenire subito “ le pigne d’uva vanno appoggiate nei cesti e non lanciate, non va perso nemmeno un acino perché significherebbe perdere una goccia di vino, lasciate sulle viti solo i ‘rasciuoppoli’ e l’uva tempestino: si parte dal fondo del terreno trascinando le ceste verso l’esterno per consentire ai trasportatori un’agevole raccolta e conferimento alle cantine”. Ogni coppia si è assegnata un filare e giù a vendemmiare piluccando gli acini più biondi e maturi dei grappoli migliori e mettendo da parte quelli super che sarebbero stati la paga in natura del nostro lavoro. Alle dieci e mezzo break per un piccolo spuntino: quello che volgarmente ma più plasticamente vien detto ‘u’muzzicone”.

Su un paio di spaselle di vimini -quelle utilizzate per essiccare i fichi interi e quelli tagliati a metà, le ‘chiuppetelle’ che insieme alle noci avrebbero allietatate le mense contadine durante l’inverno e che il mio amico Orazio così decantava  “et nux ornabat mensas cum duplice ficu”- ci attendeva un’insalata agreste, salsicce secche, pane del forno Florio, che avevo portato dai Pilastri, vino della casa (e che vino). L’insalata l’aveva preparata Franco ed in essa riconoscevi il suo carattere, vario, generoso e casinaro. Pomodori, cipolle, aglio, patate, peperoncini verdi crudi, una papaccella, basilico, due foglioline di mentuccia, un diavoliello, sale ed infine quattro alici sott’olio che davano all’insalata quel retrogusto di ‘garum’, sì il profumo greve della salamoia che può essere apprezzato solo dagli intenditori, ricordando ben altri effluvi… La ripresa della vendemmia è stata faticosa perché la bellezza del luogo richiedeva solo una bella passeggiata.

“Forza e coraggio che alle 13 avremo finito e solo allora vi comunicherò la sorpresa della giornata” il proclama di Franco non ci colse di sorpresa, conoscevamo l’inventiva della sua mente luciferina, e fu il giusto pungolo per farci lavorare (gli obiettivi bancari ed il premio di produzione riaffioravano nella sua mente di ex-dirigente!). Alle tredici in punto avevamo ultimato la nostra opera, rimaneva da vendemmiare solo un fazzoletto di terreno detto ’u sorice’ che fu affrontato dall’intero gruppo e liquidato in dieci minuti. Ci raccogliemmo sullo spiazzo, eravamo molto sudati benché il tempo lassù a Serrara fosse fresco ed il sole era velato da un sottile strato di nubi che andava sempre più intensificandosi, e Franco ci informò, in fretta,  che la vendemmia era andata molto bene grazie ad un’estate torrida ed alle provvidenziali piogge pre vendemmia che avevano reso turgidi i grappoli, che avevamo vendemmiato circa venti quintali d’uva avendo consegnato alle cantine 120 cestoni da venti chili ciascuno e la nostra fatica si sarebbe tradotta in circa il 50% o 60% di vino in quanto l’enologo della casa, Gino, preferiva vinificare la prima parte della spremitura. “E la sorpresa ?” fecero le Signore dimostrando, se ve n’era bisogno, di essere intriganti e curiose.

Tutti in macchina ed alla massima velocità giù  a Sorgeto per un salutare bagno ed il pranzo al ristorante dove, come tradizione vuole, avremmo consumato spaghetti a vongole e pollo alla cacciatora. Pensai, tra me e me, più che alla tradizione Franco si sarà riferito a quella canzone napoletana che dopo gli spaghetti a vongole ed il pollo alla cacciatora continuava “la dolce mia Signora si mangiò”. Mezz’ora dopo stavamo con le ‘pacche’ nell’acqua, nel vero senso della parola. Le nuvolaglie erano sempre più dense e noi, con l’acqua calda fino al collo, riprendendo forze, ci auguravamo la pioggia per vedere, come diceva la canzone, ‘l’effetto che fa’. Il suono prolungato di una tofa ci comunicava che il pranzo era in tavola e bisognava rimandare l’effetto. Abbiamo consumato tutto con voracità e solo a fine pranzo ci siamo parlati. Mimì il ristoratore ha commesso un solo errore quando per frutta ci ha portato dell’uva. Uva a noi che odoravamo di mosto! La ‘cecagna’ si è impadronita di noi in un battibaleno.

Dopo quattro ore di piegamenti per la raccolta dell’uva, un bagno che, al contrario di quanto pensavamo, ha consumato le ultime energie residue ed il pensiero della risalita con quei 300 gradini da superare, si desiderava solo un buon riposo. Alle cinque del pomeriggio eravamo già pronti e Franco non ha perso l’occasione, al momento del commiato, del pistolotto per il quale andava famoso. “Carissimi -sembrava l’inizio di una lettera di San Paolo Apostolo- ho apprezzato molto il vostro senso del dovere, l’abnegazione con la quale vi siete spesi, lo sprezzo del pericolo -qualcuno ha dovuto vendemmiare dei filari posti proprio sulle merne (cigli) dei poggi-, la cavalleria degli uomini e la disponibilità delle Signore, per cui in omaggio al famoso aforisma ‘utilia bis repetita iuvant’ vi invito ufficialmente alla vendemmia di sabato prossimo a ‘chignole’”… non aveva ancora terminato che un coro di nooooo si è levato al cielo ed io che quando sento le citazioni in latino vado in deliquio ho ribattuto “caro Franco devi sapere che ‘semel in anno licet insanire’ e noi la pazzia per il 2011 l’abbiamo commessa oggi”…

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